I professionisti del no profit si danno appuntamento in Sicilia a settembre

Si chiama “Fundraising To Say” ed è il Forum dei Professionisti del Dono, che dall’1 al 4 settembre 2022 permetterà ai protagonisti del No Profit italiano di incontrarsi a Giardini Naxos, in provincia di Messina. Lo organizza ASSIF – Associazione Italiana Fundraiser, che intende farne un evento annuale e itinerante in giro per l’Italia.

40 Speaker per contaminare, sperimentare e interagire all’insegna del no profit

“Fundraising To Say” è dedicato a chi, in ogni forma, partecipa alla realizzazione di attività senza fini di lucro: associazioni ed enti del Terzo Settore, volontari, fundraiser, comunicatori sociali, consulenti, giornalisti, creativi, brand e digital manager, docenti e studenti.
Saranno loro che verranno coinvolti in una quattro giorni che la promotrice – Letizia Bucalo Vita, consigliera ASSIF delegata agli Eventi – dice saranno “all’insegna della contaminazione, sperimentazione e interazione”.

 

Promotori Fundraising to say - no profit

Sono infatti circa quaranta gli speaker che interverranno: tutti con esperienze professionali differenti. Ciascuno con la propria esperienza mostrerà come il fundraising possa essere inteso non solo “come attività per acquisire risorse economiche, ma come strumento che può rendere sostenibili e realizzabili progetti, a volte visionari, che migliorano la vita della comunità”. In più, “Fundraising To Say” sarà un evento – dichiara ancora Letizia Bucalo Vita – non “sul territorio ma con il territorio; non un ambiente chiuso per gli “addetti ai lavori” ma un movimento collettivo alla scoperta dei luoghi ospitanti e della loro gente attraverso visite turistiche, dialoghi in piazza, esperimenti musicali, contest, premi e riconoscimenti.”

A “Fundraising To Say” si parlerà anche di podcast e di ”approccio startup”.

Teniamo particolarmente a segnalare l’evento sia perché da tempo conosciamo la promotrice Letizia Bucalo Vita, che chi segue questo blog/podcast ricorderà di aver visto sul palco dell’ultimo TEDxCapoPeloro con un intervento dal titolo L’arte del dono.

In più perché tra gli speaker, oltre a chi scrive che porterà sul palco l’esperienza in ambito podcast maturata in questi ultimi anni con Start Me Up, ci sarà anche Giuseppe Arrigo che con Ardeek ha da sempre sostenuto Start Me Up. Giuseppe sul palco di “Fundraising To Say” parlerà di come l’”approccio startup” sia utile anche nel settore no profit. In più, insieme (cioè il sottoscritto e Giuseppe) terremo un workshop su come adattare il Business Model Canvas anche a progetti inerenti il terzo settore.

Questi sono solo tre dei tanti appuntamenti che in questi giorni stanno riempiendo il programma di questa prima edizione di “Fundraising To Say”. Per avere maggiori informazioni, basta visitare il sito ufficiale dell’evento.

Ci vediamo a Giardini Naxos!

Foto di copertina di Clay Banks via Unsplash.

Quando la natura non è solo qualcosa da vedere

SoundBOE – Beyond Ordinary Environment è il laboratorio di paesaggio sonoro che mira a realizzare la prima mappa sonora dell’Area Marina Protetta Capo Milazzo.
È un evento che si svolgerà tra il 9 e il 13 luglio e permetterà a solo 12 persone di capire perché la natura vada al di là della semplice vista. Quindi se ci stai pensando, smetti subito e prenota. Perché? Te lo spiego subito.

copertina SoundBOE - laboratorio di paesaggio sonoro

Un modo di stare nella natura come non lo hai mai fatto.

Siamo abituati a considerare il paesaggio attraverso la vista; questo ci porta a legare la fruizione e il ricordo che abbiamo di esso unicamente a sensazioni visive. In realtà siamo, però, immersi anche in un paesaggio sonoro che conosciamo appena, di cui siamo assuefatti e che, spesso, viviamo in maniera passiva a causa dell’impossibilità di “chiudere le orecchie”.

Questo paesaggio che rapidamente si sta modificando, porta alla scomparsa dei fattori identitari dei luoghi. La mole sonora delle città è la prima causa del cosiddetto “non-ascolto”. Ogni messaggio, per essere udito, deve essere urlato, breve ed istantaneo.

L’ascolto come pratica, invece, richiede il procedere con lentezza, dedicando il proprio tempo alla relazione con sé stessi e con gli altri esseri (umani, animali e vegetali) come parti di un unico insieme sonoro da tutelare.

Per questo SoundBOE si concentra sul Paesaggio Sonoro e il Field-Recording. Per stare in mezzo alla natura in un modo in cui non lo hai ancora fatto.

Non solo natura, ma anche storia e relax.

SoundBOE ha come centro di azione l’Area Marina Protetta di Capo Milazzo, ma non solo. Le sessioni di lavoro si terranno all’interno di Villa Paradiso Bonaccorsi. Un luogo che mette insieme storia e natura: dimmi tu infatti dove è possibile trovare un luogo a strapiombo sul mare (con accesso alla spiaggia) su di una penisola che guarda alle Isole Eolie. In più questo luogo ha con circa due secoli di storia. L’edificio principale di Villa Paradiso Bonaccorsi infatti viene iniziato a costruire nella seconda metà del Settecento e, oggi ospita convegni ed eventi.

Questo mix fa di SoundBOE un evento che è sì di studio e ricerca, ma anche relax in cui avrai modo di trovare altre persone con cui condividere un’esperienza formativa non solo dal punto di vista professionale, ma anche umano. Insomma “cultura” nel senso più ampio del termine.

La garanzia di chi lavora da tempo nel mondo del paesaggio sonoro

C’è chi parla di paesaggio sonoro in Sicilia e cita Vacuamoenia e chi mente. È infatti pressoché impossibile quando si pensa al paesaggio sonoro siciliano non pensare al duo di ricerca siciliano formato da Fabio R. Lattuca e Pietro Bonanno. Dal 2013 i due girano l’isola armati di microfoni e registratori per catturare i suoni, catalogarli e studiarli; in più in Europa e in Italia partecipano e organizzano eventi per sensibilizzare studiosi e appassionati sul tema del suono legato all’ambiente.

Il paesaggio sonoro: in Sicilia c’è chi lo studia

Chi scrive si è innamorato del loro lavoro dopo aver dedicato a entrambi una puntata di un podcast e soprattutto, dopo aver partecipato a una loro soundwalk (una passeggiata all’alba finalizzata all’ascolto dei suoni della natura). Il programma ufficiale non è ancora uscito ma so per certo che una soundwalk è prevista anche per soundBOE.

Gli eventi collaterali: World Listening Day e European Maritime Day

C’è poi questo aspetto molto bello che dentro SoundBOE ci sarà modo di festeggiare una serie di eventi. Innanzitutto, venendo a Milazzo questa estate, avrai modo di celebrare anche tu il World Listening Day. Il World Listening Day è il modo che ogni anno gli studiosi del paesaggio sonoro hanno di rendere grazie a R. Murray Schafer, che per primo ha sottolineato l’importanza dell’audio nell’ambiente circostante.

E poi, all’interno di SoundBOE si celebrerà anche lo European Maritime Day 2022 con un panel dedicato al suono della Sicilia. Un evento che è curato da FellLand, associazione che da tempo sensibilizza il pubblico sui temi del mare (forse ricorderai Me&Sea).

Infine ti consigliamo di andare a vedere tutti i partner che, ciascuno a proprio modo, sostengono SoundBOE nonostante sia solo alla sua prima edizione.

SoundBOE: tutte le coordinate.

Che tu sia un appassionato o appassionata del mondo del suono e della natura, che tu sia uno studente o una studentessa di conservatorio o la tua attività ha a che fare con la musica e il suono in generale, non aspettare l’ultimo momento.

Prenota adesso il tuo posto per SoundBOE. Le modalità sono indicate sul sito dell’evento, dove troverai il resto delle informazioni.

Partecipa a SoundBOE e scopri come la natura possa andare al di là di ciò che possiamo solo vedere.

Foto di copertina: Area Marina Protetta Capo Milazzo.

I Cavalieri Digitali tornano alle basi del marketing digitale

Per la quinta edizione i Cavalieri Digitali hanno deciso di tornare ai fondamentali. E così il 23 e il 24 settembre 2022 a Capo D’Orlando (ME) e nel Metaverso, offriranno una due giorni di formazione pratica sul marketing digitale.

12 tra relatori e relatrici per 2 giornate dedicate al marketing digitale

Sono dodici, scelti tra i maggiori esponenti italiani del mondo della comunicazione digitale che, per due giornate di intensa formazione, condivideranno la loro esperienza e affronteranno sessioni dedicate ai principali temi legati al digital marketing.

Il tema di questa quinta edizione di Cavalieri Digitali è “Back to Basics” e ha l’obiettivo di fornire una formazione pratica a tutti i partecipanti.

Cavalieri Digitali nel metaverso grazie alla collaborazione con Coderblock

Quest’anno l’evento potrà essere seguito anche online grazie alla collaborazione con Coderblock, azienda che porterà Cavalieri Digitali direttamente nel metaverso, garantendo un’esperienza immersiva di networking e apprendimento.

Cavalieri Digitali è un evento ideato e promosso dalla content agency Sintagma, ed è pensato per professionisti, freelance e web agencies che credono nella formazione di alto livello sul digital marketing e vogliono venire in Sicilia per averla.

I dettagli su luoghi, programma e prezzi sono sul sito ufficiale dell’evento.

Brand journalism: quando è l’impresa a produrre contenuti.

Il libro che questo mese aggiungo alla biblioteca di Start me Up è “L’impresa come media”, scritto e curato da Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello.
Pubblicato a dicembre 2021 da Trèfoglie (marchio di Flaco Edizioni), “L’impresa come media”, raccoglie le esperienze di chi – per professione – lavora nel settore del “brand journalism”.

Parliamo di brand journalism quando un’azienda decide di voler approfondire storie e temi che riguardano i settori in cui opera attraverso un progetto editoriale, e quindi crea un blog, un giornale (cartaceo o virtuale), o decide di produrre podcast o video.
Se lo fa è perché vuole valorizzare e affermare il proprio brand attraverso il coinvolgimento e la sensibilizzazione dei lettori sulle più importanti tematiche di interesse pubblico e di attualità. Per questo motivo, solitamente, questi progetti vengono guidati da giornalisti professionisti.

Per capire meglio il brand journalism e il modo in cui “L’impresa come media” lo racconta, ho incontrato Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello.

Far convivere informazione aziendale e etica del giornalismo

Ne “L’impresa come media” più volte viene sottolineato come all’essenza del brand journalism ci siano informazione aziendale da un lato e etica del giornalismo dall’altro: due aspetti che sulle prime potrebbero apparire in contrasto tra loro. “Nel libro dico che appunto quello che viene percepito come ossimoro, in realtà non lo è” dice Cristina. “Questo perché, anche quando l’editore è un’azienda che non fa normalmente informazione, il giornalista è sempre tale: usa le tecniche giornalistiche e approccia l’argomento sempre nella stessa maniera. Vale a dire verificando i fatti, avvalendosi di testimonianze, studiando l’argomento, andando a fondo e così via”. Secondo Roberto, poi, informazione aziendale e etica del giornalismo “non sono due aspetti in contrasto”. Stiamo infatti parlando di informazione aziendale e non di “comunicazione aziendale, processo che si lega alla sfera del marketing e dunque della promozione. Quando un’azienda fa informazione, per essere credibile, – continua Roberto – deve raccontare la verità (sui suoi valori, sulla sua mission, sulla sua storia). L’obiettivo non è più quello di “promuovere o vendere” un prodotto, ma è, appunto, quello di informare i consumatori. E il brand journalism, attraverso l’uso di tecniche giornalistiche, offre anche ad un’azienda la possibilità di creare un’informazione di qualità, trasformando la stessa impresa in una vera e propria media company”.

Brand journalism non è content marketing

L'impresa come media - immagine di copertinaMettiamo subito in chiaro che fare brand journalism non rientra tra le attività di Content Marketing. Seppur entrambe ruotino intorno ai contenuti, sono infatti due attività che “partono da strategie e obiettivi diversi”, sottolinea Cristina. “Il content marketing mira a fare marketing attraverso i contenuti, quindi un blog che lavori in tal senso, nel suo piano editoriale tiene molto a mente quali sono i suoi prodotti o servizi e come può spingerli attraverso degli articoli, podcast ecc…” senza ovviamente dimenticare – nel caso del digitale – l’importanza della SEO. Continua Cristina: “Questo con il brand journalism accade meno, non che Google non sia importante, ma si punta tanto sull’attualità, sulla novità, sul contenuto che è sì cercato, ma che più che altro dà un’altra angolatura, un altro punto di vista. L’obiettivo è la brand awareness ma anche diventare opinion leader. Per questo abbiamo la parola journalism affiancata a brand e non marketing”.

Pensare al brand journalism come uno strumento di vendita a disposizione dell’impresa è sbagliato, infatti il suo compito non è parlare di un prodotto o di un servizio. Dice ancora Roberto: “Il brand journalism è una forma di racconto che si serve di tecniche e strumenti propri del giornalismo (e di professionisti di questo settore) che punta a informare utenti, consumatori e stakeholders dell’identità, dei valori e del mondo che ruota attorno ad un marchio. L’”imparzialità” è garantita dalla verità e dall’etica del racconto”.

Un’altra differenza tra brand journalism e Content Marketing sta proprio nel modo in cui questi contenuti vengono presentati. “In un progetto di content marketing saranno meno presenti i reportage o le inchieste così come le interviste, cosa su cui punta il brand journalism”, precisa Cristina. “Inoltre, in un progetto di brand journalism la figura del giornalista è centrale, in un progetto di content marketing può esserci, ma a scrivere sono anche web copywriter o persone dell’azienda”.

Brand journalism come informazione ad alto tasso di credibilità

Il tema del giornalismo e della sua imparzialità se ne porta dietro un altro, molto attuale: le fake news e la manipolazione dell’informazione. Ho perciò chiesto a Roberto in che modo il brand journalism possa affermarsi come informazione con un alto tasso di credibilità. “Può farlo se esistono tre elementi che io ritengo indissolubili nel processo di informazione: verità, etica e professionalità. Non sottovaluterei, in particolare, anche l’ultimo punto, perché per far sì che un processo di informazione sia credibile, occorre che sia affidato a professionisti e non lasciato all’improvvisazione”.

L’onestà intellettuale del professionista quindi resta al primo posto. Nel libro Cristina sottolinea come nel brand journalism contino molto anche i valori che un’azienda porta con sé. “Creare consapevolezza e far conoscere il modo in cui si vuole stare nel mercato è uno degli obiettivi di fare brand journalism”. Continua Cristina: “Ecco perché è fondamentale creare un piano editoriale che, attraverso i contenuti, declini quei valori e li tenga sempre presente. Mi spiego meglio: se un’azienda ha tra i suoi valori la passione per le persone, intervistare sia i dipendenti che le persone che non c’entrano con l’azienda ma possono essere ispiranti, va in quella direzione. Così come se tra i valori ha l’attenzione all’ambiente, può costruire un piano editoriale attraverso cui informa i suoi lettori sulle iniziative in tal senso, portando delle storie di aziende o persone che stanno cercando di cambiare il mondo o dando informazioni pratiche. Fare informazione vera, avvalendosi dei giornalisti, può essere molto efficace”.

Brand journalism: gli esempi da cui imparare.

Nel libro scritto da Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello sono presenti molti esempi di brand journalism, a loro ho chiesto di citare quelli che ritengono essere i più virtuosi: Cristina suggerisce Morning Future del Gruppo Adecco e Changes di Unipol, mentre Roberto consiglia di andare a vedere Centodieci, progetto editoriale di Mediolanum.

Naturalmente per saperne di più sul brand journalism il libro “impresa come media” è l’ideale: gli autori hanno infatti raccolto le esperienze dirette di professionisti che lavorano in ambito giornalistico su diversi media. Cristina consiglia in particolare il terzo capitolo del libro, che è curato da Alessandra Boiardi, dove è possibile trovare diversi nomi stranieri di professionisti da seguire. Roberto mi segnala anche una sua precedente pubblicazione “Brand journalism. Storytelling e marketing: nuove opportunità per i professionisti dell’informazione” (qui il link a Amazon). Per chi poi volesse approfondire e iniziare a confrontarsi con gli altri, segnaliamo il gruppo LinkedIn Brand Storytelling & Journalism.

“Limpresa come media” può essere acquistato attraverso i principali canali di vendita e sul sito flacoedizioni.com.

Foto di copertina di Roman Kraft via Unsplash.

Quali sono gli Startup Studio al Sud Italia?

Ci sono aziende che per mestiere creano altre aziende. È la mission degli startup studio, un modello di business nato negli Stati Uniti nel 1996 con Idealab. All’incirca dieci anni dopo, a Berlino, nasceva Rocket Internet, che ha consacrato questo modello di business.

E al Sud Italia? Ci sono realtà che lavorano come Startup Studio o Venture Builder? Sì, ovviamente, anche se spesso oltre ai servizi che solitamente questo tipo di aziende offrono, ne mettono insieme altri, dedicati a PMI e enti pubblici.

Prima di presentarvele, facciamo un primo ripasso su cosa è uno Startup Studio.

Cosa è uno Startup Studio o Venture Builder

Uno Startup Studio è una azienda specializzata nel creare più startup in modo parallelo, seguendole dall’ideazione fino all’exit. Sono per questo definite spesso come aziende che realizzano aziende e, per quanto possa sembrare riduttiva, questa definizione racchiude bene il senso e lo scopo di uno startup studio.

Sono due gli elementi su cui uno Startup Studio costruisce il proprio lavoro: ricerche di mercato e la costituzione di un team efficace.

Lontani infatti dalla retorica della “startup che nasce all’interno di un garage da parte di due ventenni smanettoni di computer”, uno startup studio basa tutto su un approccio più freddo. Studia il mercato per capire quali siano i trend su cui investire e lavora solo su quelle innovazioni che possono essere accolte con più facilità da parte del pubblico.
Successivamente mette insieme un team che lavora a quell’idea: l’obiettivo è ottenere una exit così da poter ripetere il ciclo con una nuova idea di business.

Startup studio o venture builder: analogie e differenze.

Uno startup studio può anche essere definito venture builder o startup factory. Per gli appassionati di definizione, suggeriamo questo articolo di Alessandro Arrigo di Startup Bakery che sottolinea le differenze tra le aziende che si definiscono venture builder e quelle che invece si definiscono startup studio

Per conoscere invece la storia del modello startup studio, quando e come è nato, la pagina di Wikipedia è piuttosto esaustiva, anche perché mette in evidenza le differenze con un altro tipo di azienda a cui gli startup studio vengono associati: gli incubatori e gli acceleratori.

Startup Studio al Sud Italia

E quindi, quali e dove sono gli startup Studio al Sud Italia? Dobbiamo precisare che non in tutte le regioni sono presenti questo tipo di aziende e spesso il loro modello di business è ibrido: lavorano cioè anche al fianco di PMI e come incubatori.

Broxlab – Basilicata

Con sede a Potenza (ma anche a Roma, Bologna e Milano) Broxlab offre una serie di servizi che vanno al di là di un semplice startup studio; alcuni di questi sono dedicati anche alle PMI. Nell’elenco presente sul loro sito leggiamo che l’azienda si occupa, tra le altre cose, di digital marketing e di formazione su temi legati al digitale, a cui affianca l’attività di incubazione di nuove idee di impresa.

Feedel Ventures – Puglia

Feedel Ventures ha sede a Latiano, in provincia di Brindisi, e sul sito dichiara di essere il primo startup studio che mette in comunicazione l’Italia con il mondo. Tra i suoi progetti c’è anche uno startup studio remoto dedicato all’innovazione nel continente africano.

Kitzanos – Sardegna

Kitzanos ha sede a Cagliari e oltre lavorare su nuove idee di business, lavora spesso al fianco di PMI e Pubblica Amministrazione. Tra le attività che solitamente rientrano in quelle di uno startup studio Kitzanos NON si occupa di copycat. Lo sottolineamo perché questo è stato uno degli argomenti che abbiamo trattano con uno dei founder, Nicola Pirina, quando è stato nostro ospite all’interno di uno dei nostri podcast.

Manca qualcosa?

Camera a Sud nasce come osservatorio e guida del panorama dell’innovazione al Sud Italia. Se pensi ci sia qualche errore o se conosci uno startup studio che ha sede al Sud Italia e non è stato inserito in questo elenco, faccelo sapere.

Foto di Michael Fousert via Unsplash

È di nuovo quel momento dell’anno per pensare a come evolve il mondo del lavoro

È di nuovo quel momento dell’anno in cui vi consigliamo di prendere parte alla discussione sul futuro del lavoro nel modo meno convenzionale possibile.

È infatti tempo di pensare all’Ohana Meetup che quest’anno si svolgerà il 24 e 25 giugno. Dove? Il luogo ancora non c’è: come da tradizione infatti, la sede dell’evento verrà scelta in base alla provenienza degli iscritti.

Cosa è l’Ohana Meetup?

Ohana Meetup 2022 - Copertina

L’Ohana Meetup è un abilitatore dell’ecosistema per l’intera tribù di professionisti, rivoluzionari, agenti del cambiamento, persone appassionate che vogliono far evolvere il mondo (del lavoro)”. Questo è quello che puoi leggere sul sito ufficiale dell’evento.

Per esperienza personale ti posso dire che l’Ohana Meetup è un incontro di due giorni che permette a tutti i partecipanti di discutere in modo totalmente libero e appassionato del futuro del mondo del lavoro.

Se pensi quindi di essere un vero e proprio agente del cambiamento, durante l’Ohana avrai modo di incontrare tanti che come te desiderano e lavorano affinché ciò avvenga. E non ci sono limiti di professioni (essere interessatə all’argomento basta) o di preparazione. Per capire l’atmosfera è necessario esserci, ma dare un’occhiata al video della passata stagione può aiutare.

Come partecipare all’Ohana Meetup?

Oltre alla tradizionale della scelta del luogo in base alla provenienza dei partecipanti, l’Ohana Meetup ha da sempre due tipi di biglietti: uno per chi è sicurə di volerci essere e l’altro per chi ci sta pensando, ma non vuole comunque perdere l’opportunità di partecipare.

  • Biglietto Ohana Party 80€ + IVA

Il biglietto “Ohana Party” ti dà la possibilità di accedere all’intero evento. Occhio che le vendite terminano il 15 maggio 22.

  • Biglietto Ohana Supporter 10€ + IVA

Il ticket “Ohana Supporter” ti consente di supportare l’evento anche se non puoi essere presente. Se però in seguito dovessi liberarti e decidi di partecipare, puoi cambiare il tuo biglietto in uno “Ohana Party” tra il 16 e il 31 maggio 2022.

Ohana Meetup 2022 - Partecipanti ed 21

L’Ohana Meetup è un evento internazionale e si svolgerà in lingua inglese. È promosso da Cocoon Pro, azienda specializzata nell’evoluzione del mondo del lavoro. Uno dei founder, Stelio Verzera, è stato spesso ospite di Start Me Up. 

Se vuoi saperne di più, visita il sito ufficiale dell’evento.

Perché un libro di storia può stare dentro la biblioteca di Start Me Up

Nella biblioteca di Start Me Up questo mese mettiamo il libro Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond. Un libro che – come potete facilmente intuire – non è un manuale pratico su una qualche tecnica di marketing. È piuttosto un ottimo spunto per pensare a come si muove l’innovazione e un buon motivo per contrastare una qualsiasi teoria di supremazia di questo o quell’altro popolo. Un argomento che affidare al caso sarebbe troppo semplice e sbagliato se lo dovessimo considerare nella sua totalità. Certamente il caso ha giocato il suo ruolo, ma non è stato il solo e non è stato quello più determinante.

La domanda di partenza è piuttosto semplice: perché alcuni popoli hanno sentito l’esigenza di partire e conquistare altre terre e altri no? Quali sono state le condizioni che li hanno spinti a operare in questo modo? Da questa considerazione l’autore conduce il lettore in un viaggio ricco di spiegazioni scientifiche e storiche, ricco di aneddoti e curiosità che ci aiutano a capire il perché la storia abbia preso il corso che conosciamo.

I punti salienti sono proprio nelle tre parole del titolo: Armi, acciaio e malattie. Sono i tre elementi chiave che stanno alla base del successo o dell’insuccesso di una particolare popolazione. Siamo chiari, non solo elementi che spesso i popoli hanno controllato, ma che in un modo o in un altro ne hanno favorito le sorti.

Ma quindi che c’entra un libro di storia con Start Me Up?

copertina libro di Diamond (storia)Beh, innanzitutto c’è da dire che questo libro nasce da una ricerca fatta con metodi nuovi per il campo in cui opera. Jared Diamond ha spiegato la storia applicando principi scientifici e ponendosi domande più generiche. Attività che si discostano dal metodo classico degli storici abituati allo studio dettagliato di un particolare popolo in un particolare periodo (lo ha raccontato lui stesso in una intervista a Corriere Innovazione). Un metodo che ha portato i suoi frutti visto che la prima edizione del libro ha vinto il Premio Pulitzer e ha trasformato Jared Diamond in una specie di dio con un seguito osannante.

E poi perché Armi, acciaio e malattie permette di scoprire come le tecnologie si siano diffuse nel mondo, cosa le ha generate, perché proprio in quel momento e perché proprio lì. Ci aiuta perciò a capire quali siano i fattori vincenti da un punto di vista evolutivo e sociale. Siamo chiari, mica vogliamo da domani conquistare chissà cosa, ma sono nozioni utili per comprendere quali siano gli elementi essenziali su cui costruire qualcosa dentro un ecosistema esistente e i meccanismi che li governano. Un esempio? Pensate al cosiddetto Principio di Anna Karenina che l’autore descrive nel nono capitolo: è stato ripreso dal fondatore di Paypal Peter Thiel, per spiegare l’unicità delle aziende che arrivano al successo a fronte di una certa somiglianza degli errori commessi da quelle che invece non ce la fanno.

Questo è quello che per noi si dice: aprire la mente. E Armi, acciaio e malattie fa proprio questo: ti apre la mente. Quale altro motivo serve per volere questo libro nella biblioteca di Start Me Up?

Foto di copertina Nick Fewings via Unsplash

Enry’s Theory: una guida per fare impresa nell’incertezza del contesto.

Tra le definizioni che ritengo più calzanti nel descrivere cosa sia una startup c’è quella di Eric Rise. Secondo l’autore di The Lean Startup una startup è: “Un’organizzazione impegnata a costruire qualcosa di nuovo, in condizioni di estrema incertezza”.

La parte che trovo più interessante è l’ultima, quel “in condizioni di estrema incertezza” che dà, a mio avviso, la cifra di quanto il mondo di chi fa impresa sia dinamico, sfidante e pieno di dubbi.

È il mondo in cui si muove Enry’s Theory – Teoria, modelli e metodi per la gestione dell’economia liquida (nell’Era dell’Acquario). Scritto da Luigi Valerio Rinaldi, questo libro sintetizza l’esperienza che il fondatore di Enry’s Island ha vissuto seguendo numerose startup.

Naturalmente non siamo davanti a un memoir, bensì a un manuale che fissa nero su bianco la Enry’s Theory.

Rendere il proprio business “aderente al cambiamento” di paradigma.

La Enry’s Theory è la teoria – appunto – creata per “definire in maniera innovativa, efficace ed efficiente i fattori necessari per la creazione di valore economico e finanziario, assumendo una prospettiva adeguata al contesto attuale, che è quello di una economia liquida”.

L’economia liquida è quella caratterizzata da un’enorme volatilità degli elementi e degli attori coinvolti, un contesto in cui le connessioni sono tante e non sempre durature. È un tipo di economia che impone a chi ci lavora di non potersi preoccupare solo degli aspetti meramente materiali: chi oggi si appresta ad avviare una nuova impresa sa che l’aspetto economico (per citare il più banale) è solo uno dei fattori da tenere sott’occhio.

Ma Enry’s Theory non si limita a mettere in guardia l’imprenditore dal tenere conto di questi aspetti. Fornisce piuttosto un metodo per prevedere e misurare tutte le componenti, anche quelle considerate intangibili, per “rendere aderente il proprio business con gli attuali cambiamenti di paradigma”.

Le parti della Enry’s Theory

Muovendosi in questo contesto “liquido”, la Enry’s Theory si basa sul cosiddetto Enry’s Model, che a sua volta poggia su due paradigmi: quello degli asset e quello delle attività. Il primo fa riferimento agli elementi materiali e immateriali che concorrono alla creazione di valore, mentre il secondo si concentra sulle attività che ogni impresa è chiamata a fare per raggiungere i propri obiettivi.
Ogni evento legato al business verrà quindi analizzato utilizzando questi due paradigmi.

Attraverso poi il cosiddetto Enry’s Assessment sarà possibile valutare le performance di ogni attore coinvolto. Mentre grazie alla Enry’s Evaluation sarà possibile stabilire il valore economico-finanziario dell’azienda.

Da questi brevi cenni è facile intuire la portata del modello presentato da Rinaldi all’interno del suo libro. Ma soprattutto la sua totale contemporaneità del contesto in cui si muove. Questo è l’elemento di forza della Enry’s Theory, l’elemento che promette di guidare, nell’incertezza del contesto, chi vuole fare impresa.

Recensione scritta su invito dell’ufficio stampa di Enry’s Island che ha spedito una copia del volume presso i nostri uffici.

Tre domande sulla empathy map (e relative risposte).

Per creare un prodotto o un servizio che abbia successo non dobbiamo concentrarci sul prodotto o il servizio, bensì sugli utenti. È un mantra che chi frequenta questo blog e ascolta il podcast dovrebbe conoscere bene.

Ci sono una serie di metodologie che ci permettono di immaginare chi sono le persone che potranno usare il nostro servizio/prodotto: tra queste, la empathy map, occupa un posto particolare.

La empathy map è lo strumento che permette a chi produce un prodotto/servizio di immaginare le sensazioni provate dal consumatore finale quando interagisce con esso. È stato creato da David Grey con lo scopo di identificare le sensazioni negative e positive dell’utente, permettendo così al produttore di poter minimizzare i primi ed esaltare i secondi.

ATTENZIONE! Molti confondono la empathy map con le buyer personas. In realtà i due strumenti sono complementari. Perché se le personas aiutano chi progetta prodotti/servizi a tenere a mente un determinato target, attraverso le empathy map si possono intuire i pensieri di queste persone e comprendere le loro emozioni.

Come? Vediamolo insieme!

Cosa è la empathy map?

Online è possibile trovare numerose definizioni della empathy map. Quella che credo sia più calzante è di Lindsay Munro, del team Adobe. Lei scrive (la traduzione è mia):

“La empathy map è uno strumento di visualizzazione usato per fissare su carta ciò che un team che si occupa dello sviluppo di un prodotto conosce di un utente.
Questo strumento aiuta il suddetto team ad avere una comprensione maggiore dei motivi che stanno dietro ai bisogni e ai desideri degli utenti.

Grazie alla empathy map, chi progetta, sposta la propria attenzione dal prodotto che si intende creare ai bisogni reali delle persone che useranno quel prodotto. Questo tipo di approccio può essere definito design empatico.

L’azione di mettere tutte queste informazioni all’interno di uno schema, permette a chi si occupa dello sviluppo del prodotto di avere una visione più olistica del mondo dell’utente e dei suoi problemi, identificando così le possibili opportunità da cogliere.”

Perché si usa la empathy map?

Lo scopo principale di una empathy map è quindi avere una comprensione maggiore delle persone con cui il prodotto o servizio che proponiamo interagiscono, i cosiddetti stakeholder. Il gioco permette di immaginarli all’interno di un contesto specifico (ad esempio quando acquistano il nostro prodotto o quando provano un nostro servizio) e aiuta così a immaginare quali sentimenti potrebbero provare.

Naturalmente il livello di empatia che può essere raggiunto grazie a questo strumento dipende da come viene utilizzato. Lo spiega il creatore di questa mappa, Dave Gray, secondo il quale una sessione di empathy map non dovrebbe durare più di 20 minuti. Questo presuppone che il team che vuole usare questo strumento, abbia una buona conoscenza del target e dei processi che intende esaminare.

In più la empathy map serve anche ad allineare tutto il team su una stessa idea di utente. Sembra un aspetto banale ma spesso alcuni problemi nascono proprio da una diversa concezione che i membri di uno stesso team hanno del target del prodotto.

Come si usa la empathy map?

Per capire come usare in concreto la empathy map facciamoci guidare ancora una volta dal suo ideatore e da ciò che ha scritto su Medium all’indomani di un aggiornamento della empathy map.

Empathy Map canvasClicca sull’immagine per scaricare il pdf della emapthy map

Si inizia in alto a sinistra dalla sezione Goal: qui andrà indicato il soggetto al centro della nostra analisi e una situazione specifica che andremo ad analizzare. ATTENZIONE! La situazione da analizzare deve essere “osservabile”.

Una volta stabiliti i punti 1 e 2 si lavora sugli altri quadranti procedendo in senso orario. Si registrano così i comportamenti esterni (cosa vedono, cosa dicono, ecc…) e solo dopo averli fissati sulla mappa si passa a ciò che c’è dentro la testa della persona.

Qui si inserisce ciò che l’utente prova, lasciandosi guidare naturalmente da tutti gli elementi elencati in precedenza. Questa è la fase più importante di tutto il processo.

La grande testa al centro è uno degli aspetti più importanti del design della mappa. – scrive Dave Gray – Infatti quando abbiamo iniziato a idearlo chiamavamo questo esercizio “La grande testa” perché l’idea di base era di immaginare com’è essere dentro la testa di qualcun altro”.

Come già scritto, per compilare a dovere una empathy map è necessario aver studiato in precedenza il target. Sarah Gibbons, chief designer di NNgroup, consiglia cinque azioni da compiere prima di mettersi davanti a questo strumento.

  • La prima cosa da fare è ovviamente definire il proprio obiettivo e cosa si intende scoprire, andando così a definire quale utente e quale situazione si andrà ad analizzare.
  • È poi importante trovare tutti quei materiali che possano essere utili nella compilazione della empathy map. Nel video Gibbons parla proprio di recuperare una copia della mappa, i post-it (nel caso in cui la sessione si dovesse svolgere dal vivo) oppure organizzare l’evento attraverso tool online come Mural, Miro o una Jamboard di Google.
  • A questo punto non resta che iniziare la ricerca. È necessario in questa fase condurre interviste con i diretti interessati, organizzare sessioni di osservazione diretta dei comportamenti e raccogliere tutti questi dati in modo da avere una prima idea del campo in cui intendiamo muoverci.
  • Secondo Gibbons, arrivati a questo punto, ogni membro del team dovrà in autonomia costruire una prima ipotesi su come riempire gli spazi della empathy map e successivamente esporla agli altri membri del team.
  • Infine, a questa fase divergente ne seguirà una convergente, durante la quale il team verrà a capo della soluzione finale.

Per saperne di più sulla empathy map

Per scrivere questa breve guida sulla empathy map ho consultato:

Foto di copertina UX Indonesia via Unsplash .

Fare startup nel settore salute imparando dai più bravi: 3 storie di successo.

Pubblichiamo con piacere l’articolo scritto da Elena Cicardo sul ciclo “Fare Startup nel settore salute”, che avevamo annunciato qui.

Come fa un’idea nata in un laboratorio di ricerca a diventare una startup di successo in ambito internazionale? Quali sono gli errori assolutamente da evitare? E quali gli elementi chiave che permettono di attrarre gli investitori?

Chiunque stia pensando di mettere in piedi un progetto imprenditoriale vorrebbe avere delle dritte, soprattutto se il settore che si vuole innovare è particolarmente complesso come quello dell’Healthcare che presenta grosse barriere all’entrata, un time to market molto lungo e iter regolamentari complessi, per esempio per ottenere le certificazioni dei dispositivi medici.

Per questo il Consorzio ARCA, l’Incubatore d’Imprese dell’Università degli Studi di Palermo, insieme a EIT Health, la rete dell’Istituto Europeo di Innovazione e Tecnologia (EIT) dedicata al settore sanitario, ha organizzato un ciclo di tre incontri online dal titolo “Fare startup nel settore salute: buone pratiche e storie di successo”, moderati da Fabio Bruno, conduttore del podcast Start Me Up, in occasione dei quali è stato possibile dialogare direttamente con alcuni imprenditori che ce l’hanno fatta, così da conoscere le difficoltà che hanno dovuto affrontare e le strategie individuate per superarle.

Le tre storie di successo di startup nel settore salute

Il primo appuntamento ha avuto come protagonista Ivan Porro che con la sua startup SurgiQ ha dato vita a una piattaforma software basata sull’intelligenza artificiale che supporta gli ospedali pubblici e privati con l’ottimizzazione delle risorse e l’automazione della programmazione dei trattamenti chirurgici e fisioterapici. SurgiQ ha ricevuto già 4 round di investimenti. L’ultimo, da 410mila euro, è dell’anno scorso in piena pandemia e ha dentro Gruppo Cassa Depositi e Prestiti venture capital.

È stata poi la volta del giovane imprenditore Alessandro Monterosso, uno dei 100 top manager italiani per Forbes. La sua startup PatchAI si propone di migliorare la ricerca clinica, e adesso anche la pratica clinica standard, attraverso un assistente virtuale empatico che coinvolge il paziente e raccoglie i dati conversazionali in tempo reale. Nel 2020 PatchAI si è aggiudicata la competizione EIT Health “Catapult”, a gennaio del 2021 ha chiuso un round da 1,7 milioni di euro e a novembre è stata acquisita da Alira Health, colosso americano della sanità.

La terza storia di successo è stata quella della startup palermitana Restorative Neurotechnologies, raccontata dalla sua co-founder Agnese Di Garbo. Il suo team, guidato da Massimiliano Oliveri, medico neurologo e professore ordinario di Neuroscienze Cognitive, dopo 20 anni di ricerca accademica ha progettato le “Mindlenses”, delle lenti prismatiche affiancate da un’app di serious games che stimolano le funzioni cognitive, l’attenzione, la memoria o il linguaggio. Lo scorso anno sono state giudicate come lo strumento più innovativo e completo nel panorama europeo in ambito medicale e hanno ricevuto un investimento da un milione di euro.

Gli elementi chiave di una startup di successo

«Con questo ciclo di incontri abbiamo voluto raccontare storie di successo in modo onesto, senza nascondere le criticità – Spiega Monica Guizzardi, responsabile comunicazione del Consorzio Arca – Per una startup del settore della salute, dal biomedicale al farmaceutico ai servizi alla persona, il percorso che dall’intuizione porta all’immissione sul mercato del prodotto validato è più lungo e tortuoso rispetto ad altri settori, perché spesso si tratta di idee che valorizzano risultati che vengono dalla ricerca, ci sono di mezzo brevetti, servono certificazioni che sono molto complesse da ottenere. Per questo ascoltare le difficoltà incontrate, gli errori commessi e le lezioni imparate da chi ce l’ha fatta crediamo sia importantissimo e possa servire da ispirazione a chi vuole mettere in piedi una startup innovativa».

Dalle storie di successo infatti sono emerse delle costanti, degli elementi chiave ricorrenti utili per chi vuole fare impresa.

Il team è l’elemento più importante. E chi investe ne tiene conto ancor di più dell’idea stessa. Se il team funziona, è eterogeneo e unito può anche aver sbagliato completamente la proposta iniziale di prodotto o segmento di mercato. Guidato arriverà comunque a ottimi risultati.

Gli investitori non sono solo denaro. Vanno scelti bene, non solo per la loro capacità economica ma anche per i loro valori, per il network che hanno alle spalle e quindi per le relazioni che sono in grado di attivare.

Ascoltare clienti, investitori e mercato. Non si deve pensare solo alla propria tecnologia e a come questa migliorerà il mondo ma stare in ascolto, perché altrimenti si rischia di progettare una soluzione perfetta per un problema che non esiste.

Tenere salde la vision e la mission aziendale. A volte può essere necessario orientarsi meglio rispetto ai bisogni del mercato ma non si deve perdere l’obiettivo iniziale. Significa, come il pivot nel basket, fare sì uno spostamento ma mantenendo uno dei due piedi ben saldo a terra.

Non sottovalutare la comunicazione. È importante comunicare in modo semplice ed efficace con contenuti specifici e molto targhettizzati a seconda degli interlocutori.

Imparare a delegare. Soprattutto nel caso di spin-off universitari, con team composti da ricercatori, il processo di delega sugli aspetti di business può essere fondamentale per crescere.

Fare parte di una rete. Entrare nell’ecosistema giusto, fatto di eventi, competition, momenti di formazione, è vitale per una startup, per raggiungere delle milestones nel proprio percorso di crescita internazionale.

Accedere a un network come EIT Health, che non a caso è stato fondamentale per il successo delle tre startup raccontate, significa poter dialogare con persone che conoscono esattamente le criticità del settore di riferimento, e beneficiare di supporto e servizi ad alto valore aggiunto che permettono all’innovazione di fiorire.