Brand journalism: quando è l’impresa a produrre contenuti.

Il libro che questo mese aggiungo alla biblioteca di Start me Up è “L’impresa come media”, scritto e curato da Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello.
Pubblicato a dicembre 2021 da Trèfoglie (marchio di Flaco Edizioni), “L’impresa come media”, raccoglie le esperienze di chi – per professione – lavora nel settore del “brand journalism”.

Parliamo di brand journalism quando un’azienda decide di voler approfondire storie e temi che riguardano i settori in cui opera attraverso un progetto editoriale, e quindi crea un blog, un giornale (cartaceo o virtuale), o decide di produrre podcast o video.
Se lo fa è perché vuole valorizzare e affermare il proprio brand attraverso il coinvolgimento e la sensibilizzazione dei lettori sulle più importanti tematiche di interesse pubblico e di attualità. Per questo motivo, solitamente, questi progetti vengono guidati da giornalisti professionisti.

Per capire meglio il brand journalism e il modo in cui “L’impresa come media” lo racconta, ho incontrato Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello.

Far convivere informazione aziendale e etica del giornalismo

Ne “L’impresa come media” più volte viene sottolineato come all’essenza del brand journalism ci siano informazione aziendale da un lato e etica del giornalismo dall’altro: due aspetti che sulle prime potrebbero apparire in contrasto tra loro. “Nel libro dico che appunto quello che viene percepito come ossimoro, in realtà non lo è” dice Cristina. “Questo perché, anche quando l’editore è un’azienda che non fa normalmente informazione, il giornalista è sempre tale: usa le tecniche giornalistiche e approccia l’argomento sempre nella stessa maniera. Vale a dire verificando i fatti, avvalendosi di testimonianze, studiando l’argomento, andando a fondo e così via”. Secondo Roberto, poi, informazione aziendale e etica del giornalismo “non sono due aspetti in contrasto”. Stiamo infatti parlando di informazione aziendale e non di “comunicazione aziendale, processo che si lega alla sfera del marketing e dunque della promozione. Quando un’azienda fa informazione, per essere credibile, – continua Roberto – deve raccontare la verità (sui suoi valori, sulla sua mission, sulla sua storia). L’obiettivo non è più quello di “promuovere o vendere” un prodotto, ma è, appunto, quello di informare i consumatori. E il brand journalism, attraverso l’uso di tecniche giornalistiche, offre anche ad un’azienda la possibilità di creare un’informazione di qualità, trasformando la stessa impresa in una vera e propria media company”.

Brand journalism non è content marketing

L'impresa come media - immagine di copertinaMettiamo subito in chiaro che fare brand journalism non rientra tra le attività di Content Marketing. Seppur entrambe ruotino intorno ai contenuti, sono infatti due attività che “partono da strategie e obiettivi diversi”, sottolinea Cristina. “Il content marketing mira a fare marketing attraverso i contenuti, quindi un blog che lavori in tal senso, nel suo piano editoriale tiene molto a mente quali sono i suoi prodotti o servizi e come può spingerli attraverso degli articoli, podcast ecc…” senza ovviamente dimenticare – nel caso del digitale – l’importanza della SEO. Continua Cristina: “Questo con il brand journalism accade meno, non che Google non sia importante, ma si punta tanto sull’attualità, sulla novità, sul contenuto che è sì cercato, ma che più che altro dà un’altra angolatura, un altro punto di vista. L’obiettivo è la brand awareness ma anche diventare opinion leader. Per questo abbiamo la parola journalism affiancata a brand e non marketing”.

Pensare al brand journalism come uno strumento di vendita a disposizione dell’impresa è sbagliato, infatti il suo compito non è parlare di un prodotto o di un servizio. Dice ancora Roberto: “Il brand journalism è una forma di racconto che si serve di tecniche e strumenti propri del giornalismo (e di professionisti di questo settore) che punta a informare utenti, consumatori e stakeholders dell’identità, dei valori e del mondo che ruota attorno ad un marchio. L’”imparzialità” è garantita dalla verità e dall’etica del racconto”.

Un’altra differenza tra brand journalism e Content Marketing sta proprio nel modo in cui questi contenuti vengono presentati. “In un progetto di content marketing saranno meno presenti i reportage o le inchieste così come le interviste, cosa su cui punta il brand journalism”, precisa Cristina. “Inoltre, in un progetto di brand journalism la figura del giornalista è centrale, in un progetto di content marketing può esserci, ma a scrivere sono anche web copywriter o persone dell’azienda”.

Brand journalism come informazione ad alto tasso di credibilità

Il tema del giornalismo e della sua imparzialità se ne porta dietro un altro, molto attuale: le fake news e la manipolazione dell’informazione. Ho perciò chiesto a Roberto in che modo il brand journalism possa affermarsi come informazione con un alto tasso di credibilità. “Può farlo se esistono tre elementi che io ritengo indissolubili nel processo di informazione: verità, etica e professionalità. Non sottovaluterei, in particolare, anche l’ultimo punto, perché per far sì che un processo di informazione sia credibile, occorre che sia affidato a professionisti e non lasciato all’improvvisazione”.

L’onestà intellettuale del professionista quindi resta al primo posto. Nel libro Cristina sottolinea come nel brand journalism contino molto anche i valori che un’azienda porta con sé. “Creare consapevolezza e far conoscere il modo in cui si vuole stare nel mercato è uno degli obiettivi di fare brand journalism”. Continua Cristina: “Ecco perché è fondamentale creare un piano editoriale che, attraverso i contenuti, declini quei valori e li tenga sempre presente. Mi spiego meglio: se un’azienda ha tra i suoi valori la passione per le persone, intervistare sia i dipendenti che le persone che non c’entrano con l’azienda ma possono essere ispiranti, va in quella direzione. Così come se tra i valori ha l’attenzione all’ambiente, può costruire un piano editoriale attraverso cui informa i suoi lettori sulle iniziative in tal senso, portando delle storie di aziende o persone che stanno cercando di cambiare il mondo o dando informazioni pratiche. Fare informazione vera, avvalendosi dei giornalisti, può essere molto efficace”.

Brand journalism: gli esempi da cui imparare.

Nel libro scritto da Cristina Maccarrone e Roberto Zarriello sono presenti molti esempi di brand journalism, a loro ho chiesto di citare quelli che ritengono essere i più virtuosi: Cristina suggerisce Morning Future del Gruppo Adecco e Changes di Unipol, mentre Roberto consiglia di andare a vedere Centodieci, progetto editoriale di Mediolanum.

Naturalmente per saperne di più sul brand journalism il libro “impresa come media” è l’ideale: gli autori hanno infatti raccolto le esperienze dirette di professionisti che lavorano in ambito giornalistico su diversi media. Cristina consiglia in particolare il terzo capitolo del libro, che è curato da Alessandra Boiardi, dove è possibile trovare diversi nomi stranieri di professionisti da seguire. Roberto mi segnala anche una sua precedente pubblicazione “Brand journalism. Storytelling e marketing: nuove opportunità per i professionisti dell’informazione” (qui il link a Amazon). Per chi poi volesse approfondire e iniziare a confrontarsi con gli altri, segnaliamo il gruppo LinkedIn Brand Storytelling & Journalism.

“Limpresa come media” può essere acquistato attraverso i principali canali di vendita e sul sito flacoedizioni.com.

Foto di copertina di Roman Kraft via Unsplash.

Enry’s Theory: una guida per fare impresa nell’incertezza del contesto.

Tra le definizioni che ritengo più calzanti nel descrivere cosa sia una startup c’è quella di Eric Rise. Secondo l’autore di The Lean Startup una startup è: “Un’organizzazione impegnata a costruire qualcosa di nuovo, in condizioni di estrema incertezza”.

La parte che trovo più interessante è l’ultima, quel “in condizioni di estrema incertezza” che dà, a mio avviso, la cifra di quanto il mondo di chi fa impresa sia dinamico, sfidante e pieno di dubbi.

È il mondo in cui si muove Enry’s Theory – Teoria, modelli e metodi per la gestione dell’economia liquida (nell’Era dell’Acquario). Scritto da Luigi Valerio Rinaldi, questo libro sintetizza l’esperienza che il fondatore di Enry’s Island ha vissuto seguendo numerose startup.

Naturalmente non siamo davanti a un memoir, bensì a un manuale che fissa nero su bianco la Enry’s Theory.

Rendere il proprio business “aderente al cambiamento” di paradigma.

La Enry’s Theory è la teoria – appunto – creata per “definire in maniera innovativa, efficace ed efficiente i fattori necessari per la creazione di valore economico e finanziario, assumendo una prospettiva adeguata al contesto attuale, che è quello di una economia liquida”.

L’economia liquida è quella caratterizzata da un’enorme volatilità degli elementi e degli attori coinvolti, un contesto in cui le connessioni sono tante e non sempre durature. È un tipo di economia che impone a chi ci lavora di non potersi preoccupare solo degli aspetti meramente materiali: chi oggi si appresta ad avviare una nuova impresa sa che l’aspetto economico (per citare il più banale) è solo uno dei fattori da tenere sott’occhio.

Ma Enry’s Theory non si limita a mettere in guardia l’imprenditore dal tenere conto di questi aspetti. Fornisce piuttosto un metodo per prevedere e misurare tutte le componenti, anche quelle considerate intangibili, per “rendere aderente il proprio business con gli attuali cambiamenti di paradigma”.

Le parti della Enry’s Theory

Muovendosi in questo contesto “liquido”, la Enry’s Theory si basa sul cosiddetto Enry’s Model, che a sua volta poggia su due paradigmi: quello degli asset e quello delle attività. Il primo fa riferimento agli elementi materiali e immateriali che concorrono alla creazione di valore, mentre il secondo si concentra sulle attività che ogni impresa è chiamata a fare per raggiungere i propri obiettivi.
Ogni evento legato al business verrà quindi analizzato utilizzando questi due paradigmi.

Attraverso poi il cosiddetto Enry’s Assessment sarà possibile valutare le performance di ogni attore coinvolto. Mentre grazie alla Enry’s Evaluation sarà possibile stabilire il valore economico-finanziario dell’azienda.

Da questi brevi cenni è facile intuire la portata del modello presentato da Rinaldi all’interno del suo libro. Ma soprattutto la sua totale contemporaneità del contesto in cui si muove. Questo è l’elemento di forza della Enry’s Theory, l’elemento che promette di guidare, nell’incertezza del contesto, chi vuole fare impresa.

Recensione scritta su invito dell’ufficio stampa di Enry’s Island che ha spedito una copia del volume presso i nostri uffici.

Innovazione culturale fuori dai musei – Speciale BMTA di Paestum



Piccolo episodio bonus realizzato in occasione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum.

Lo scorso 27 novembre ho parteciato come relatore a Storia e Musei al microfono: il fenomeno podcast, un panel curato dal think thank Archeostorie® che si è svolto durante la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum, in Campania.

Durante il panel è stato presentato il libro Branded Podcast curato da Chiara Boracchi di Archeostorie. Oltre a me erano presenti ovviamente gli altri autori che hanno contribuito alla scrittura del libro.

Innovazione culturale fuori dai musei - Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum - primo panelUn momento del panel “Storia e Musei al microfono: il fenomeno podcast”

L’innovazione culturale fuori dai musei

Lo scopo dell’incontro è stato sottolineare il ruolo che il podcast può avere nel racconto del valore di un museo. Partendo dall’esperienza di Start Me Up ho parlato di quei casi in cui sono i privati e le associazioni a proporre innovazione culturale. Inoltre, ho spiegato come un podcast può connettere gli operatori culturali con chi, fuori da queste strutture, sperimenta nuove metodologie di divulgazione.

Questo podcast è la registrazione del mio intervento.


Ascolta Start Me Up dove e quando vuoi


I progetti citati durante l’intervento alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum

Nel corso del mio intervento ho citato numerosi esempi: sono tutti progetti che dimostrano quanto l’innovazione culturale oggi passi non solo dagli enti preposti, ma dalle singole iniziative di gruppi di privati ed associazioni.

Ho parlato di:

Branded Podcast: come “dare voce” a aziende e istituzioni culturali.

Branded Podcast è un libro scritto a più mani. L’intento del libro è mostrare tutti i vantaggi che il podcast offre alla comunicazione culturale. Questa tesi è avvalorata, pagina dopo pagina, accompagnando i lettori e le lettrici tra generi narrativi diversi, illustrando loro le tecniche di promozione di uno show. Il tutto attraverso esempi concreti, numeri, e esperienze dirette.

I singoli contributi contenuti nel libro sono stati scritti da: Sebastiano Paolo Righi, Cinzia Dal Maso, Marco Cappelli, Gaia Passamonti, Andrea W. Castellanza, Rossella Pivanti, Francesco Tassi e me, Fabio Bruno.

Innovazione culturale fuori dai musei - Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum - autoriGli autori di “Branded Podcast” presenti a Paestum

Branded Podcast è il terzo libro di Archeostorie®, think tank di professionisti della comunicazione che studia e sperimenta strategie per una comunicazione dei beni culturali sempre più precisa, coinvolgente e fuori dagli schemi.

Puoi trovare informazioni più dettagliate sul volume in questo articolo.


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Foto di copertina, un momento del convegno.

Leggi la trascrizione del podcast


La trascrizione del podcast è stata realizzata grazie a transcribe.refacturing.com.

Il podcast per dare voce a aziende e istituzioni culturali

Che il podcast sia ormai un mezzo sdoganato e alla portata di tutti non è un mistero. Chi frequenta questo mondo da un bel po’ se ne è accorto. Ma anche i non appassionati hanno visto quanto sia cresciuta l’offerta dal punto di vista dei contenuti a cui è possibile accedere (personalmente sapevo che era stata superata una certa linea di demarcazione quando ho visto il podcast sui parrucchieri).

Quello dei podcast quindi è un mondo popolato ormai non solo da indipendenti: parecchie aziende producono dei propri format, vedendo in questo mezzo oltre a un fenomeno di costume, un modo per raggiungere un pubblico sempre più rinchiuso nella propria bolla.

Branded Podcast: dal racconto alla promozione, come “dare voce” a aziende e istituzioni culturali

Seguendo questa scia, l’auspicio è che anche gli enti culturali possano emulare questa stessa strategia e adottare i podcast nella propria strategia di comunicazione. C’è chi già lo fa e lo fa bene, chi invece lo fa con risultati mediocri e chi non lo fa per niente. Ecco soprattutto per gli ultimi due gruppi (ma anche un po’ per i primi) è stato scritto Branded Podcast.

Branded Podcast è un libro corale che mostra tutti i vantaggi che il podcast offre alla comunicazione culturale.  Questa tesi è avvalorata spaziando tra generi narrativi diversi, illustrando le tecniche di promozione di uno show, ma soprattutto attraverso esempi concreti, numeri, e esperienze dirette.

Gli autori di Branded Podcast

Gli autori di “Branded Podcast” durante la presentazione del libro durante il Festival del Podcasting 2020

Come dice la curatrice Chiara Boracchi, giornalista, speaker radiofonica, membro di Archeostorie® e ovviamente podcaster: “Per quanto possa sembrare bizzarro, parlare dei valori di un’azienda o di un museo non è molto diverso, se si hanno storie interessanti da narrare. E da qualche tempo si è scoperto che lo strumento migliore, più innovativo ed efficace per raccontarle è proprio il podcast.”

Raccontare l’innovazione sociale e culturale in podcast: l’esperienza di Start Me Up

Per rendere questa tesi ancora più evidente l’autrice si è fatta supportare da alcuni podcaster indipendenti. All’interno del volume è possibile trovare i contributi di Sebastiano Paolo Righi, Cinzia Dal Maso, Marco Cappelli, Gaia Passamonti, Andrea W. Castellanza, Rossella Pivanti, Francesco Tassi e il mio, Fabio Bruno.

In Branded Podcast ho raccontato infatti la genesi di Start Me Up e il ruolo che questo podcast nel tempo si è ritagliato. Vista anche la tesi esposta nel libro, ho cercato di evidenziare le peculiarità di un prodotto come Start Me Up nato come testimone diretto dell’innovazione sociale, culturale e tecnologica del Sud Italia. Un ruolo che nel tempo è cambiato così come il ruolo dell’innovazione al Sud Italia che, perdendo l’entusiasmo dei primi anni ’10 del Duemila, ha modificato il suo impatto nella vita e nel lavoro delle persone che vivono in questa parte di Italia.

Di tutto questo ne ho parlato insieme a Chiara Boracchi una settimana fa circa ai microfoni di Strategia IT di Riccardo Mancinelli.

Player Strategia IT pyer podcast

Clicca sull’immagine per ascoltare il podcast

Branded Podcast: info utili.

È possibile acquistare Branded Podcast nelle principali librerie, su Amazon o con uno sconto del 5% direttamente dal sito della casa editrice.

Branded Podcast è il terzo libro di Archeostorie®, think tank di professionisti della comunicazione che studia e sperimenta strategie per una comunicazione dei beni culturali sempre più precisa, coinvolgente e fuori dagli schemi.

Andrà tutto bene se saremo antifragili

Questa è la settimana in cui dalle pagine di questo blog vi consiglio un libro da leggere. In programma ce n’era uno dedicato alla gestione delle community, ma dopo aver letto questo articolo ho pensato che fosse giusto parlare di Antifragile.

Antifragile è un libro scritto da Nassim Nicholas Taleb, filosofo, saggista e matematico libanese naturalizzato statunitense, esperto di matematica finanziaria. Ha pubblicato questo libro nel 2012 dopo che il Sunday Times aveva inserito Il cigno nero (opera pubblicata dallo stesso autore nel 2007) tra i libri che hanno cambiato il mondo.

Antifragile parla del principio di antifragilità e chiude la serie dell’incertezza (o trilogia dell’Incerto) che l’autore ha trattato in questo libro, ne Il Cigno Nero e nel volume pubblicato nel 2001, Giocati dal caso.

Perché può essere utile leggere (o rileggere) Antifragile oggi

Io ho letto questo libro tempo fa e se Taleb è uno degli autori più citati del momento (è dovuto intervenire lui stesso per spiegare che il coronavirus non è un cigno nero) è proprio in virtù del periodo di profonda incertezza che stiamo vivendo. Quindi leggere Antifragile non può che aiutarci a capire e interpretare meglio ciò che ci aspetta, visto che molti di noi si stanno sprecando in previsioni di come sarà la nostra società dopo il Covid19. A me piacerebbe che fosse più antifragile.

Cosa è l’antifragilità

Taleb definisce antifragile tutte quelle “cose” (esseri viventi, ecosistemi, oggetti) che traggono vantaggio da uno shock improvviso, ne escono cioè più forti di prima.

Antifragile - copertinaIl termine antifragile deriva da un ragionamento. Se qualcosa di fragile accusa lo shock e viene distrutto allora parliamo dell’esatto opposto. Il dizionario ci dice che il contrario di fragile è robusto, forte. Ma, ancora, qualcosa di robusto e/o forte non trae vantaggio da uno shock, anzi, più una cosa è forte, meno subisce gli effetti negativi di uno shock. Questo ha indotto l’autore a coniare la parola antifragile. Un termine che si discosta anche dal più abusato “resiliente” perché la “cosa” resiliente accusa lo shock ma resta uguale a sé stessa, quella antifragile invece migliora. Da qui è facile capire che per essere antifragile un sistema deve essere volatile: non può resistere agli shock, anzi li deve subire così da prosperare. Taleb fa l’esempio dell’Idra, il mostro mitologico la cui caratteristica principale stava nel fatto che ogni volta che gli veniva tagliata una delle teste ne ricrescevano due dal moncherino. L’idra ha trasformato uno shock in una occasione per battere i propri nemici.

Come impariamo a essere antifragili?

Taleb lo spiega nel libro. Ci consiglia innanzitutto di smettere di prevedere il futuro e pianificare ogni scelta. Le opportunità a volte vanno semplicemente colte solo perché ci si presentano davanti: non possiamo misurare tutti i pro e i contro.
Questo non significa che dobbiamo andare a fare i matti in strada, è naturale. Ciò che consiglia Taleb è ridurre al minimo il rischio quando ci troviamo di fronte a un terreno poco conosciuto. Minore sarà il rischio, minori saranno le perdite: una volta “testato” il terreno saremo pronti a prosperare. È nella natura umana accettare una perdita per crescere (il cosiddetto investimento). Cerchiamo di perdere il meno possibile.
Smettiamola infine di essere troppo rigidi. I sistemi antifragili prosperano proprio grazie all’incertezza e alla volatilità: se si è troppo concentrati su una propria idea si rischia di non vedere cosa il mondo esterno vuole dirci e ignorare quindi la strada verso un possibile successo.

Fino al 30 aprile tutti i libri di Taleb in formato ebook possono essere acquistati a soli 2,99 euro ciascuno sul sito de Il Saggiatore.

Foto di copertina: Pietro Luca Cassarino / CC BY-SA

Quattro motivi per leggere “Il lavoro del futuro” di Luca De Biase

Parlando di questo libro avrei potuto inserire un sacco di citazioni che mi sono rimaste in mente. Il rischio sarebbe però poi stato di non scrivere un articolo ma di fare un plagio, così cerco di mettere le idee al proprio posto e vi do quattro motivi per leggere “Il lavoro del futuro” di Luca De Biase.

Innanzitutto perché non è solo teoria. È bello vedere come l’autore inserisca casi concreti di aziende italiane che lavorano in campi come la robotica e a livelli così alti che quasi pensi non sia possibile: quando il dibattito quotidiano si è ridotto a polemiche e a un gioco al ribasso che ci appiattisce tutti alla mediocrità? Perché è necessario acquistare un libro per sapere che in ogni parte d’Italia c’è almeno un’azienda che cerca di innovare il proprio settore? Credo che se notizie di questo tipo fossero più alla portata di tutti guarderemmo al futuro con meno livore e forse anche con un po’ più di serenità.

Fa i conti con la paura sempre più diffusa della perdita di posti di lavoro (vedi alla voce livore, poco più su). Magari è una versione edulcorata del futuro, però il libro affronta il tema del “sopravvento dei robot” in maniera piuttosto oggettiva. E lo fa in un modo abbastanza banale e cioè trattando i robot per quello che sono, cioè macchine. Quindi nessun complottismo o piano di chi sa quale mente perversa, ma solo la consapevolezza di dire che in quanto macchine saremo noi umani a stabilire come funzioneranno. Sul tema poi della mancanza dei posti di lavoro si conferma la visione che si, le macchine faranno ciò che oggi fa un operaio poco specializzato: ma si pone in luce anche che se si tratta di lavori massacranti, poco stimolanti e rischiosi c’è da dire anche meno male! Il libro si sofferma poi sui vari tipi di posti di lavoro che la robotica richiederà in un futuro talmente prossimo che stiamo parlando di ore. Un aspetto poco dibattuto ahinoi, ma che ci dovrebbe interessare visto che qualcuno questi lavori dovrà farli e come dice il proverbio “chi tardi arriva, male alloggia”.

Non solo robotica. Se parlasse solo di tecnologia e robot “Il lavoro del futuro” sarebbe un libro incompleto. Una parte del saggio è dedicata infatti a come cambia il lavoro nella vita delle persone. Ci stiamo infatti sempre più allontanando da un modello rigido vita personale/lavoro. Ci piaccia o no, la persona come essere pensante è e sarà sempre più coinvolta nella vita della azienda di cui fa parte. Un po’ perché il lavoro meccanico sarà sempre più affidato alle macchine (vedi su), dall’altro lato c’è anche un motivo culturale dietro: le persone saranno sempre meno disponibili a lavorare in posti in cui non posso apportare valore all’azienda. Un aspetto che chi si appresta a gestire questa nuova forza lavoro non può sottovalutare: già oggi chi lavora sente l’esigenza di essere coinvolto e questo aspetto prenderà sempre più piede in futuro.

Formazione ed ecosistemi. Per questo motivo un altro aspetto indagato da “Il lavoro del futuro” è quello della formazione e di ciò che c’è intorno all’azienda. Non possiamo più immaginare che un’impresa si preoccupi solo di ciò che avviene all’interno delle proprie mura. È necessario instaurare un dialogo con gli enti di formazione, con le amministrazioni locali e nazionali per stimolare una crescita sociale, culturale e quindi anche economica di un intero sistema. Sembra complesso ma è un tema profondamente legato a quanto detto in precedenza. I lavoratori avranno sempre più bisogno di essere coinvolti e in base a questo riusciranno a dare il giusto contributo alla propria azienda.

Puoi acquistare il Lavoro del futuro di Luca De Biase su amazon.it

Foto di copertina di Annie Spratt, via Unsplash.

Non c’è sviluppo senza il bello e gli ultimi: la ricetta di Sud Innovation

Quando fui nominato Presidente della Fondazione CON IL SUD, decisi di incontrare un po’ di esperienze significative del “sociale”. Incontrai a Napoli uno dei più intelligenti ed innovativi operatori che lavora in un quartiere famoso, nel centro della città. Mi disse: “Se riusciamo ad incrociare il bello e gli ultimi faremo veramente sviluppo”. Pensai che era un bell’auspicio, un po’ visionario. La realtà che vedo, mi dice che aveva perfettamente ragione.

Carlo Borgomeo – Presidente Fondazione con il Sud

Così si chiude il libro “Sud Innovation – patrimonio culturale, innovazione sociale e nuova cittadinanza (FrancoAngeli, Milano 2015)” e se riporto questo passaggio non è certo per rovinarvi il finale. È solo che – come ogni cosa nella vita – il senso di un percorso lo si capisce al termine del viaggio. E questo libro è un viaggio reale in quella che è al momento l’innovazione –sociale applicata al patrimonio culturale – nel Sud Italia. Il mio è un parere da spettatore, o meglio operatore, che da qualche anno con il podcast racconta storie come quelle raccolte in questo volume. Alcune sono stranote e grazie a Dio hanno superato la fase di startup, altre (che non conoscevo, lo ammetto!) mi hanno lasciato la voglia di saperne di più e chissà, magari raccontarle attraverso le voci dei protagonisti in una delle prossime puntate.

Un Sud Italia lontano dagli stereotipi che esiste e resiste

Nella presentazione del libro che se ne fa sul sito c’è anche un po’ il punto che ha animato Start Me Up. Il podcast da sempre ha provato a raccontare un Sud Italia diverso, lontano dagli stereotipi del folklore e delle macchiette regionali. Forse oggi lo fa con maggiore consapevolezza, certo che queste non rappresentano più delle semplici deviazioni a un percorso già stabilito, ma delle vere e proprie vie; se d’uscita, decidete voi da cosa. Ma dicevamo della presentazione:

Nella sconfortante situazione generale in cui versa il patrimonio culturale e ambientale italiano, tante iniziative e progetti, promosse perlopiù da cittadini appassionati e determinati, hanno iniziato a destare l’attenzione per aver riaperto luoghi, riqualificato spazi, rigenerato quartieri e riattivato relazioni comunitarie, creando sviluppo locale e arricchimento culturale.

L’aspetto interessante è il filo rosso che accomuna tutte queste storie e che, nella diversità di luoghi e persone, presenta caratteristiche comuni. C’è la voglia di riappropriarsi di luoghi che gli enti preposti, per vari motivi, sono incapaci di gestire, ma anche la volontà di lavorare sul ruolo della comunità. Due aspetti che portano automaticamente e inevitabilmente a inventare una nuova economia. Questa economia sarà così forte da, non dico sostituire, ma almeno affiancare quella preponderante? È la sfida che le storie raccolte in questo libro portano avanti e che, per avere successo, devono mettere in contatto il bello e gli ultimi. Nonostante tutto, nonostante tutti.

Sud innovation. Patrimonio culturale, innovazione sociale e nuova cittadinanza

  • Autori e curatori: Stefano Consiglio, Agostino Riitano
  • Contributi: Alessandro Bollo, Carlo Borgomeo, Fabrizio Cobis, Roberto Ferrari, Alessandra Gariboldi, Alessandro Hinna, Marcello Minuti, Tommaso Montanari, Alessia Zabatino
  • Editore: Franco Angeli (17 ottobre 2016)

58. La Street Art siciliana in una guida che non è una semplice guida…



Si chiama Street Art in Sicilia ed è una guida ai luoghi e alle opere presenti nelle principali province dell’isola. Una guida che non c’era, come spiegano Mauro Filippi e Marco Mondino in questo podcast, perché permette al lettore di trovare e conoscere le creazioni in relazione ai luoghi in cui si trovano. Mauro e Marco hanno scritto questa guida insieme a Luisa Tuttolomondo e nel corso dell’intervista cercheremo di capire come ognuno di loro abbia contribuito alla realizzazione del libro. Ho chiesto anche quale fosse il senso di scrivere un libro nel 2017 su una cosa così effimera come la Street Art e la risposta non è affatto scontata. Inoltre si parla anche del ruolo dell’editore e c’è anche una sorpresa per chi ascolta: un codice per ottenere il 15% di sconto sul prezzo del libro.

Perché ascoltare questo podcast?

  • Per conoscere la Sicilia in modo non convenzionale
  • Per capire quale e quanto lavoro ci sia dietro la pubblicazione di un libro

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Link utili

La citazione Mauro

Mauro Street Art

La citazione Marco

Marco Street Art

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