Le startup italiane fanno fatica a crescere?



Se fino a qualche anno fa, l’obiettivo dell’ecosistema startup italiano era quello di trovare il suo primo unicorno, oggi la questione è un’altra. Una startup che nasce in Italia, che poi si sposta all’Estero e da lì realizza la propria exit può essere considerata italiana?

In questo podcast non entriamo nel merito dell’annoso dibattito (che si ripete come un mantra ogni volta che si verifica un avvenimento del genere), ma ci siamo piuttosto chiesti: “Il mercato italiano ha un problema con la crescita delle startup?”

La domanda arriva da Fabio Sferruzzi CEO di Echoboost e Daniele Mogavero, fondatore di Hi founder, che hanno co-prodotto questo podcast. Oltre a loro, in questo episodio, per trovare una risposta convincente a questa domanda abbiamo chiesto un parere anche a Lucrezia Lucotti di 360 Capital e Silvia Mion di H-FARM.


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Un ecosistema non (ancora) focalizzato sulla crescita

Per capire se e perché una startup italiana faccia fatica a crescere è necessario guardare all’ecosistema in cui si muove. Secondo Fabio Sferruzzi quello italiano non è un ecosistema focalizzato sulla crescita. A suo avviso infatti, gli attori che lo compongono non fanno abbastanza per supportare le startup nella fase post lancio. C’è poi un problema di “cultura”, come dice Daniele Mogavero, che spesso vede tra gli startupper e i founder la volontà di voler crescere, ma senza una conoscenza adeguata per farlo.

I due hanno messo in piedi un questionario per capire quali possano essere i bisogni e le necessità delle startup italiane in fase di crescita. Se ti va di contribuire puoi dire la tua.

La raccolta dei capitali è un processo ancora troppo lento e la capacità di “fare rete”

Visto che il tema è la crescita, il primo punto che ci sembrava importante trattare è quello della raccolta di capitali. Abbiamo perciò parlato con Lucrezia Lucotti di 360 Capital che lavora tra Italia e Francia. La sua prospettiva è interessante perché può mettere a confronto i due mercati. A suo giudizio l’ecosistema italiano è ancora troppo lento, un fattore che non può che penalizzare chi vuole crescere tanto e subito come chi fa startup. Uno degli ostacoli alla lentezza della crescita secondo lei è poi l’ossessione che molte delle startup italiane hanno per il B2C. Il voler vendere al dettaglio si porta dietro spesso tanto lavoro di marketing e comunicazione a fronte di ricavi che arrivano con tempi lunghi (sempre che arrivino, è ovvio).

C’è però il mondo della ricerca e degli spinoff che, secondo Lucrezia, può davvero permettere all’Italia di fare la differenza nei prossimi anni. Sarà determinante il supporto che la filiera che sta tra gli startupper e gli investitori saprà dare all’intero comparto. Stiamo parlando di enti come acceleratori e incubatori e qui entra in gioco l’ultimo ospite di questo podcast, Silvia Mion di H-FARM.

Quando parliamo di crescita e startup Silvia non ha dubbi: il “fare rete” è l’elemento che non può mancare. Lo sa oggi che si occupa dei processi di open innovation all’interno di H-FARM, ma lo ha compreso negli anni in cui ha frequentato l’incubatore veneto come startupper.

Alla luce di questa doppia esperienza, ha maturato la convinzione di come sia necessario abbattere l’individualismo che caratterizza l’ambiente startup italiano. Questa “lotta” può essere affrontata in primis proprio dagli incubatori e acceleratori che hanno il compito di connettere le startup tra loro e con il resto delle imprese. Questo mondo infatti oggi è sempre più disposto a introdurre processi innovativi nel proprio lavoro quotidiano.

Una piccola nota conclusiva

Questo è l’ultimo episodio di Start Me Up della stagione e forse l’ultimo in generale. Ho infatti deciso di mettere in pausa l’avventura che è iniziata nel 2014 e che per 8 stagioni ha prodotto in modo più o meno regolare più di 300 podcast.

Dire che è stata un’esperienza pazzesca sarebbe sminuire tutto quello che in questi anni ho vissuto: non riesco a pensare a quanti progetti, amicizie e “cose” sono nate parlando dietro i microfoni di Start Me Up.

Ringraziare tutti uno per uno sarebbe impossibile: dico solo che è stato bello contare sul supporto di chi ha contribuito in qualsiasi modo alla riuscita di questo podcast. Grazie anche a chi lo ha ascoltato, anche solo per un minuto, e a chi lo ha commentato e condiviso. Niente era dovuto e tutto è stato più che apprezzato!

Start Me Up tornerà, ne sono certo, in un modo che ancora non so bene quale sarà. Nel frattempo, gli episodi saranno online e potrai ascoltarli come hai fatto sempre.

Alla grande!

Fabio


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Foto di copertina di micheile dot com via Unsplash.

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Musica, industria 4.0 e automotive: storia di un ecosistema.



Mettere insieme musica, industria 4.0 e automotive non è cosa da tutti. Ci provo in questo podcast per raccontare tre progetti che arrivano da Messina, la città dove sono nato. Si tratta di b-rain, arancino.cc™ e Stretto in Carena.

b-rain sequencer

b-rain - in azione. Parte di un ecosistema

b-rain, un sequencer creato partendo da una Raspberry Pi 4, e utilizzando i linguaggi di programmazione Puredata e Python. b-rain punta sulla facilità d’uso, la versatilità e l’essere “open”. È uno strumento utile sia in fase di registrazione che durante un live set perché aiuta a gestire con facilità più fonti e racchiude una serie pressoché infinita di strumenti raggiungibili con pochi click grazie all’interfaccia d’uso molto semplice.

b-rain è  un progetto realizzato da Alessio Zaccone, Peppe Ruggeri e Vincio Siracusano.

arancino.cc™

arancino - parte di un ecosistema

arancino.cc™, un’architettura sviluppata da smartme.IO® basata sullo stesso concetto di comunicazione tra emisfero destro ed emisfero sinistro del cervello umano. L’architettura arancino.cc™ semplifica l’interazione cloud-IoT e facilita l’implementazione dei Cyber Physical System, inoltre sfrutta l’edge e il fog computing e si adatta perfettamente alle soluzioni di intelligenza artificiale e di machine learning.

Ne parlo con Sergio Tomasello, che lavora alla parte di programmazione di alto livello di arancino.cc™.

Stretto in Carena

team di Stretto in Carena - parte di un ecosistema

Stretto in Carena è un progetto dell’Università di Messina che in questi anni ha costruito da zero una vera e propria scuderia coinvolgendo studenti da tutte le facoltà. L’obiettivo è realizzare un prototipo di moto utile a prendere parte alla motostudent. La competizione, aperta agli atenei di tutto il mondo, valuterà le scuderie non solo dai risultati ottenuti in pista ma anche in base al lavoro di progettazione e costruzione dei veicoli.

Ne parlo con Gianmarco Interdonato, responsabile reparto elettronica di SIC.


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Ecosistema: un luogo di relazione e sviluppo.

Pur ricadendo in tre ambiti molto diversi tra loro, ho visto in questi tre progetti un legame che non è solo territoriale, ma che è facile da riassumere con il termine di ecosistema.

Un ecosistema è qualcosa i cui abitanti entrano in relazione tra loro e si influenzano, non per forza volutamente, semplicemente portando avanti i propri progetti e – se è il caso – supportandosi a vicenda.


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Foto di copertina, via b-rain.net

A cosa serve l’innovazione?

Il covid-19 sta mettendo in luce una serie di criticità con cui fino a ora non avevamo fatto i conti. Una su tutti: l’innovazione? Qual è il suo ruolo? A cosa serve? Fino ad oggi cosa ne abbiamo fatto? Fabio, in questo nuovo appuntamento di “Spam – è tutto grasso che cola” parte da un articolo parecchio critico nei confronti della Silicon Valley per arrivare fino all’ecosistema Startup Italiano.

I link a cui facciamo riferimento si trova nella descrizione di questo podcast che potrete ascoltare solo se fate una offerta mensile di almeno 10$ a Start Me Up.

Spam – è tutto grasso che cola

Spam tutto grasso che cola - podcast copertina

Un podcast minimale e settimanale che si concentra su un particolare tema. Ogni lunedì Fabio parla di qualcosa che ha che fare con il mondo dell’innovazione (e anche un po’ del Sud Italia, ma non solo), solo per il gusto di parlarne.

Spam è come il grasso che, colando, dà il gusto alle cose. Ed è anche qualcosa di indesiderato, non richiesto, che arriva prepotente nelle vostre caselle mail. Sta a voi prendervi il coraggio di accettarlo e ascoltarlo.

Spam si ascolta solo tramite Patreon ed è riservato a chi dona almeno 10$ al mese.

La foto di copertina è di Octavian Rosca via Unsplash.

Trovare il potenziale dove mancano le infrastrutture



In questo podcast assumiamo una prospettiva inedita. Con noi Eythor Jonsson, docente presso la Copenhagen Business School ed esperto di innovazione: durante la sua carriera ha accompagnato nel percorso di impresa startup e scaleup attraverso la creazione di programmi specifici.
Eythor Jonsson negli anni si è specializzato nella creazione di valore in zone povere di infrastrutture ma ricche di potenziale. Ha operato principalmente nel Nord Europa e la sua esperienza non è poi così lontana da chi, alle nostre latitudini, lavora affinché innovazione e impresa producano un impatto reale sulla vita delle persone.

Metà docente e metà imprenditore: la doppia carriera di Eythor Jonsson

La carriera di Eythor Jonsson si divide tra le lezioni alla Copenhagen Business School dove ha due corsi focalizzati sull’imprenditoria e i progetti dedicati al mondo dell’impresa. Nella prima parte del podcast raccontiamo il Growth Train Project, un acceleratore/incubatore dedicato a idee del foodtech e agritech focalizzato nella parte meridionale della Danimarca che Eythor e il suo gruppo ha ideato qualche anno fa.
Ci facciamo quindi spiegare come cambia il suo approccio con i suoi studenti/corsisti e quali sono le metodologie che utilizza, come ad esempio la gestione per Obiettivi Chiave. In più Eythor ci svela anche i risvolti di una carriera divisa a metà tra lezioni e imprenditoria: una condizione che ha in sé uno dei possibili scenari sul futuro dell’educazione.

E quindi come si parla di innovazione in posti con poche infrastrutture?

Nella seconda parte del podcast chiediamo a Eythor quelli che sono i suoi trucchi del mestiere. Come suscitare l’ispirazione in chi vuole fare impresa? Ma ancora più importante: come riconoscere il potenziale in una persona o in un luogo? Prima delle competenze e/o degli investimenti, c’è il fattore cultura su cui agire: ad esempio, mettere in una luce diversa il fallimento (noi un’idea ce l’abbiamo). E poi il rapporto con gli amministratori, che se parliamo di ecosistemi, non possiamo ignorarli…

La citazione di Eythorn sul potenziale

Nell’ultima parte del podcast infine, si passa ai territori. Ad esempio: come si esce dal loop “non c’è sviluppo perché non ci sono le infrastrutture e non ci sono le infrastrutture perché non c’è sviluppo”? Che è un piccolo mantra dalle nostre parti. E poi, Nord e Sud Europa, cosa possono imparare l’una dall’altra? La risposta non è poi così scontata, soprattutto nell’ottica di un ecosistema startup europeo su cui Eythor ci dice la sua.

Da non dimenticare

  • La traduzione voce italiana di Eythor è di Francesco Rigoni, che ci ha dato una mano anche con la traduzione.
  • Qui parliamo di “Fai di te stesso un brand” e qui è dove Scandellari non se la prende a male quando lo definiamo fratello maggiore.
  • Infine qui ci sono tutte le novità inerenti al gruppo Telegram che è sempre aperto a chiunque voglia supportare Start Me Up.

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foto di copertina di Thomas Kelley via Unsplash