Startup Biomed Forum: l’innovazione medica a Torino – #40.radiosmu Torna la due giorni ideata da Paul Müller e organizzata da PNICube. Inoltre: Soisy e DaliLab



Stacchiamo il biglietto dei quaranta podcast parlandovi dello Startup Biomed Forum, meeting organizzato da PNICube e ideato da Paul Müller, presidente di Niso Biomed. Il forum che si sta svolgendo a Torino proprio mentre stiamo pubblicando questo podcast nasce per aiutare le startup che operano in ambito medico a emergere in un mercato non sempre facile. Questa è la seconda edizione e l’intento rimane lo stesso dello scorso anno: «L’idea è quella di conoscerci – dice ai microfoni di Start Me Up Paul Müller – diffondere informazioni e conoscenze sul processo di formazione di un’azienda con un occhio particolare alla crescita». Una due giorni dedicata al networking senza dimenticare le eccellenze del settore che possano attraverso la condivisione di best practices dare i giusti stimoli ai partecipanti.
La sanità soprattutto nel campo della diagnostica e della terapia medica è un settore che si nutre di nuove tecnologie. «Da un lato sono utili per apportare una maggiore accuratezza nel campo delle diagnosi – spiega ancora Paul. E dall’altra parte non bisogna sottovalutare il risparmio che tecniche sempre più sofisticate possono apportare all’intero settore».
Paul Müller vive in prima persona tutto ciò, vista anche la sua esperienza con Niso Biomed, startup che opera nel campo della gastroenterologia. L’azienda ha creato Endofaster, «un dispositivo che collegato al gastroscopio analizza i succhi gastrici ed è capace di fornire una serie di informazioni sullo stato di salute del paziente evitando tanti esami istologici e fornendo una diagnosi immediata» spiega Paul.
Per conoscere meglio Niso Biomed basta andare sul sito nisobiomed.com, mentre per seguire i lavori dello Startup Biomed Forum, basterà seguire l’hashtag #BiomedForum sui social.

Richiedere un prestito è facile, anzi, è Soisy!

Pietro Cesati_2Arriva da un lavoro in banca ma non ha resistito alla voglia di cambiare la sua vita e quella di chi ha bisogno di chiedere un prestito. È più o meno questa la molla che ha spinto Pietro Cesati a creare Soisy, portale online specializzato in prestiti tra privati. In questo podcast ospitiamo lui insieme a Giorgia Pavia che si occupa del marketing e della comunicazione (anche lei con una esperienza in banca alle spalle). L’intervista parte da un punto fondamentale: il prestito tra privati è legale, «come prestare qualsiasi cosa – precisa Pietro. «Diventa illegale se lo fai per mestiere: i clienti che si affidano a Soisy fanno dei piccoli investimenti e quindi escono dalla sfera della professionalità». Per fugare ogni dubbio però Soisy ha ricevuto una autorizzazione da parte della Banca di Italia che ha rivisto tutto il modello di business e ha dato il suo benestare.
Il vantaggio offerto è, come si può anche evincere dal nome della startup, la semplicità: il cliente interessato a richiedere un prestito online riceverà infatti un preventivo in pochi minuti e gestirà tutta la pratica online. «Oltre ad essere semplice e 100 % online è anche conveniente – specifica Giorgia – perché non ci sono tutte le spese che affronta normalmente una banca. E poi – aggiunge – non obblighiamo i clienti a prendere altri prodotti (di solito insieme al mutuo una banca offre anche una serie di servizi a pagamento) e la provenienza dei soldi è nota (si parla di rapporti tra persone) informazione che spesso la banca non fornisce».
L’ambito di Soisy è quello dei piccoli prestiti, non sono pertanto richieste delle vere e proprie garanzie a chi decide di usufruire del servizio. In ogni caso agli investitori viene data la possibilità di mettere in comune una parte delle perdite – una sorta di garanzia sul rendimento – che a fronte di un ritorno di minore entità possono comunque contare su un salvadanaio che ammortizzi eventuali perdite.
Come scrivevo all’inizio, Pietro arriva a fondare Soisy dopo aver lavorato in banca: «Mi sono accorto che più passava il tempo, più i servizi offerti rispondevano più a logiche interne anziché ai reali bisogni dei clienti e dei dipendenti – racconta a Start Me Up. «Inoltre dopo aver scoperto che la banca per cui lavoravo aveva fatto degli investimenti illegali in Sudan, ho deciso che dovevo dedicarmi a qualcosa di diverso e così ho creato Soisy».
Naturalmente trovate Soisy online (il gruppo lavora sparso in varie sedi tra Milano, Roma, Trapani e Pescara) su www.soisy.it. Da lì trovate poi i link ai profili Facebook, Instagram e Linkedin.

Capelli come isolante. DaliLab vince We Start Challenge

westart_premiazioneHanno affrontato e vinto We Start Challenge, un percorso di nove mesi promosso da ItaliaCamp Campania e Rotaract Napoli Sud Ovest pensato per fornire a giovani under 30 il know-how e gli strumenti per la creazione e sviluppo di Progetti e Startup con una forte connotazione di impatto sociale. Loro sono i ragazzi di DaliLab e vogliono utilizzare gli scarti dei capelli per creare il primo feltro isolante 100 % bio. Lo spiega bene uno dei founder Mariano Iannotta specificando che l’intento del team era quello di trovare una alternativa ai materiali sintetici attualmente in uso il cui l’impatto ambientale è enorme. Allo stesso tempo «se ci pensiamo un attimo – dice ai microfoni di Start Me Up – i capelli nascono per regolare la temperatura corporea nei confronti dell’ambiente esterno».
I nove mesi trascorsi per We Start Challenge sono stati qualcosa di più di una semplice competizione, «abbiamo trovato un contesto stimolante – racconta Mariano – ricco di diversità con esperti disposti a motivarti a coltivare la tua idea di business e fornirti anche gli strumenti utili per trasformare la tua idea in impresa». Il percorso si è rivelato molto duro, con numerosi obiettivi da raggiungere. L’ultimo è stato una campagna di crowdfunding che ha permesso ai ragazzi di DaliLab di raccogliere attraverso la piattaforma ulule.com i fondi per sviluppare il prodotto e perfezionarlo anche il coinvolgimento di alcuni centri di ricerca campani. Per seguire le evoluzioni del progetto basta mettere un like alla pagina di DaliLab su Facebook o visitare il sito dalilab.it.

Start Me Up speciale ING Challenge Reggio Calabria Siamo stati al CLab di Reggio Calabria per seguire la tappa dello Startup tour di ING e H-Farm

Martedì scorso al Contamination Lab di Reggio Calabria si è svolta una delle tappe dell’ING Challenge, tour organizzato dalla Banca olandese in collaborazione con l’incubatore H-Farm. Lo scopo dell’evento è quello di avvicinare gli studenti all’imprenditoria digitale. Dopo averne parlato con Natale Militano (che ringrazio per la collaborazione) durante il liveshow del 9 maggio, siamo andati all’università Mediterranea di Reggio Calabria per seguire da vicino l’evento.

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Ogni tappa dell’ING Challenge ha un tema specifico. Quello di martedì era Smart city – Innovazione e valorizzazione del Territorio e la prima parte dell’evento si è concentrato su questo tema. Successivamente è stato dato spazio a tre aziende che hanno portato la propria testimonianza. Infine l’appuntamento si è chiuso con una competizione che ha visto sei startup contendersi a colpi di pitch due giorni all’incubatore H-Farm per un bootcamp utile a approfondire le proprie competenze e aumentare il proprio network. «ING Challenge è iniziato lo scorso anno – spiega il primo ospite di questo podcast, la dott.ssa Silvia Bagiolo, brand development ING  – e mira a coinvolgere gli studenti delle università italiane». Questa è la seconda edizione e il tour ha già toccato le città di Torino e Firenze. Naturalmente il giro non si chiude a Reggio Calabria: «Abbiamo in programma altre due date – continua Silvia – nei prossimi mesi saremo a Milano e poi a Napoli». È possibile aggiungere altre tappe al tour, basta farne specifica richiesta attraverso la sezione contatti del sito ING Challenge.

«ING Challenge è un tour che tocca la città universitarie italiane per diffondere i temi dell’imprenditorialità e del digitale»

«È un grande onore per noi avere questo evento al Contamination Lab» dice il prof. Luciano Zingali, tutor del laboratorio – sicuramente è una grande opportunità per i ragazzi che oggi possono testare la validità delle proprie idee su cui stanno lavorando e che domani potrebbero diventare startup». Il CLab di Reggio Calabria si avvia alla conclusione del quarto ciclo e il bilancio è certamente positivo. «Il laboratorio ha fatto le veci di un incubatore – dice il professore – e ha dato ai gli studenti la possibilità di creare qualcosa di nuovo e, aspetto più importante, qualcosa su cui costruire il proprio futuro». Il bilancio è positivo anche nei numeri: tante le richieste di iscrizione e tanti sono stati anche i docenti che sono arrivati da ogni parte di Italia per rendere l’esperienza dei ragazzi del CLab di Reggio Calabria più completa possibile. Non meno importante è stato ciò che gli alunni hanno trasmesso ai docenti: lo stesso professore Zingali ammette ai nostri microfoni di essere cresciuto tanto in questi mesi al punto che anche lui ha deciso di scommettere su una sua idea di impresa, mettendo a frutto le sue competenze.

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Per conoscere la storia del Contamination Lab ci affidiamo poi al prof. Claudio de Capua, Pro-Rettore e Responsabile del Trasferimento Tecnologico dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Con lui percorriamo il percorso che ha portato l’università a vincere il bando del Ministero per aprire in maniera sperimentale uno dei quattro CLab (gli altri atenei sono quelli di Catania, Cosenza e Napoli). Il professore Capua ci dice anche che l’intento del Ministero è quello di proseguire in questa avventura e anzi, la volontà è quella di dotare ogni ateneo italiano di una struttura simile. È importante ricordare che per definizione i Contamination Lab devono mettere insieme studenti di diverse facoltà. «Così è stato per Reggio durante il primo ciclo, dice il prof. De Capua. Successivamente il laboratorio si è esteso a studenti di Atenei vicini, poi a quelli appartenenti a Università più lontane (dal punto di vista geografico) e infine l’Università vuole aprirsi alla città», e rendere così reale la ricaduta di queste conoscenze sul territorio di appartenenza.

«Il laboratorio ha dato ai gli studenti la possibilità di creare qualcosa di nuovo e, aspetto più importante, qualcosa su cui costruire il proprio futuro»

L’ultima intervista che potrete ascoltare in questo podcast è quella a Osvaldo De Falco, uno dei fondatori di Biorfarm, startup che ha vinto la competizione finale e che quindi nei prossimi mesi parteciperà al bootcamp di H-Farm. Biorfarm permette ai propri utenti di adottare un albero da frutto e avere così garantita la fornitura annuale di frutta fresca. Una combinazione ideale per tutti: per il consumatore che è certo di acquistare un prodotto sano e che può comunque sempre controllare; per il produttore agricolo che è certo di avere il necessario per la cura dei propri alberi e un giusto guadagno per il suo lavoro. Biorfarm ha convinto la giuria grazie a un modello di business molto semplice e allo stesso tempo solido. Dietro c’è un team che è sparso in ogni parte del mondo ma che riesce a portare avanti un’impresa che accontenta diverse tipologie di consumatori. «Molti – dice Osvaldo nell’intervista – decidono di regalare un albero ai propri cari. Addirittura una coppia in occasione del loro matrimonio ha deciso di regalare gli alberi come bomboniere». La fantasia non manca, così come le speranze di riuscire presto a allargare il proprio mercato. Tutti possono adottare un albero da frutto, sceglierlo all’interno del frutteto e garantirsi così una fornitura di frutta fresca a domicilio, basta seguire la procedura indicata su biorfarm.com.

Nella foto di copertina, il momento della premiazione di Biorfarm, via